LA TROIA NEL CORTILE !!HOT!!
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La Giornata che oggi anche il Comune di Troia si appresta acelebrare simbolicamente, con scarpe rosse nel cortile del Palazzo di Città efiocchi rossi indossati da tutti i dipendenti ed amministratori comunali, èstata istituita dall'Onu con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999.La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor ogginella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne. La stessaDichiarazione adottata dall'Assemblea Generale Onu parla di violenza contro ledonne come di \"uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali ledonne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini\".
Durante questa serie di massacri, Eracle si invaghì della figlia di Cefeo, uno dei suoi alleati, la sacerdotessa Auge, dalla quale ebbe Telefo, futuro re di Misia e marito della principessa troiana Astioche, che l'avrebbe reso padre di Euripilo, valoroso condottiero nella guerra di Troia (come alleato di Priamo).
È molto probabile che la maggior parte della popolazione si dedicasse a lavori artigianali, come la fabbricazione di ceramica al tornio, soprattutto vasellame e stoviglie con decorazioni geometriche. La massiccia presenza di utensili per filare e tessere, come i pesi da telaio, indica che i tessuti di Troia (principalmente di lana e lino) dovevano essere molto apprezzati. I troiani producevano anche la preziosa tintura porpora che si ottiene dal mollusco di mare, la murice, che serviva per tingere tessuti, pelli conciate e oggetti in osso o avorio. Numerose botteghe erano dedicate alla produzione di manufatti in bronzo, ferro, argento e oro.
C' era anche un carabiniere \"buono\", quel giorno. Molti \"prigionieri\" lo ricordano. Giovanissimo. Più o meno ventenne, forse di leva. Altri l' hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di sospensione dei diritti umani, ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell' amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere \"buono\" diceva ai \"prigionieri\" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell' acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva. Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 \"fermati\" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano. Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che soltanto un criterio prudenziale impedisce di parlare di tortura. Certo, alla tortura si è andato molto vicini, ma l' accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula. Il reato di tortura in Italia non c' è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell' Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d' uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l' abuso di ufficio, l' abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell' indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato). Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa degli altri, di quelli che pensiamo essere peggio di noi. Quel \"buco\" ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta. * * * Nella prima Magna Carta - 1225 - c' era scritto: Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese. Nella nostra Costituzione, 1947, all' articolo 13 si legge: La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà * * * La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un' accorta gestione, si sono voluti cancellare i luoghi della vergogna, modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l' idea di farne un \"Centro della Memoria\" a ricordo delle vittime dei soprusi. C' è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i \"carcerieri\" accompagnavano l' arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come Chi è lo Stato La polizia! Chi è il capo Mussolini!, cori di Benvenuti ad Auschwitz. Dov' era il famigerato ufficio matricole c' è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come Morte agli ebrei!, ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei. * * * Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l' ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l' ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo). A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: Allora, non li vuoi vedere tanto presto. A un' altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H.T. chiede l' avvocato. Minacciano di tagliarle la gola. M.D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: Vengo a trovarti, sai. Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni per accertare la presenza di oggetti nelle cavità. Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i \"prigionieri\" di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono - 55 \"fermati\", 252 \"arrestati\" - sono approssimativi. Meno imprecisi i tempi di permanenza nella struttura. Dodici ore in media per chi ha avuto la \"fortuna\" di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia \"media\" - prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera - è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all' ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia. * * * È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa. La posizione del cigno - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell' attesa di poter entrare alla matricola. Superati gli scalini dell' atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della posizione peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella posizione della ballerina, in punta di piedi. Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato entro stasera vi scoperemo tutte; agli uomini, sei un gay o un comunista Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: viva il duce, viva la polizia penitenziaria. C' è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un trauma testicolare. C' è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A.D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella posizione della ballerina. Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano di rompergli anche l' altro piede. Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. Comunista di merda. C' è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di non picchiarlo sulla gamba buona. I.M.T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in